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Tribunale di Bologna > Patto di prova
Data: 05/02/2003
Giudice: Pugliese
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 73/03
Parti: Manzo / Eurodom srl
SOTTOSCRIZIONE DEL PATTO DI PROVA SUCCESSIVAMENTE ALL’INIZIO DEL RAPPORTO: INVALIDITA’ – ILLEGITTIMITA’ DEL LICENZIAMENTO - CRITERI DI CALCOLO PER L’INDENNITA’ RISARCITORIA – COMPORTAMENTO DELLE PARTI: RILEVANZA


Ad un lavoratore che aveva iniziato a lavorare per una piccola impresa con meno di sedici dipendenti il 21 Luglio 2001, solo in data 24 settembre 2001 veniva richiesto di sottoscrivere un patto di prova pre-datato al 21 luglio, che egli sottoscriveva apponendo la vera data, venendo poi licenziato lo stesso giorno per asserito esito negativo della prova. Facilmente il Giudice del Lavoro di Bologna - al quale nel frattempo il dipendente si era rivolto – ha ritenuto l’assunzione in prova viziata da nullità assoluta ed insanabile, ed illegittimo il licenziamento in quanto avvenuto in mancanza dei presupposti di legge, essendo l’unica motivazione addotta giuridicamente inconsistente. La sentenza appare importante per le argomentazioni utilizzate nel giustificare la condanna ad un risarcimento pari a sei mensilità di retribuzione con riferimento al comportamento datoriale: “Questo Giudice stima equa la determinazione dell’indennità nella misura massima su indicata in considerazione della gravità del comportamento tenuto dal datore di lavoro: la Eurodo srl, infatti, il 24 settembre 2001 ha fatto sottoscrivere la ricorrente la lettera di assunzione contenente il patto di prova e poi, il giorno stesso, ha intimato al lavoratore il licenziamento per esito negativo del periodo di prova”




Tribunale di Bologna > Patto di prova
Data: 17/02/2005
Giudice: Dallacasa
Tipo Provvedimento: Ordinanza
Numero Provvedimento:
Parti: Panorama SpA / Giuseppina
LICENZIAMENTO PER MANCATO SUPERAMENTO DEL PERIODO DI PROVA - LAVORATRICE MADRE – DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE


Il rapporto di lavoro di una dipendente di una casa di cura privata era stato sospeso - prima per malattia e poi in dipendenza dello stato di gravidanza della stessa - durante il periodo di prova. Più specificatamente, quest’ultimo, la cui durata era stata contrattualmente pattuita in 60 giorni, si era svolto regolarmente fino al 57° giorno, momento in cui la lavoratrice aveva comunicato alla società il proprio stato di gravidanza. Seguiva un periodo continuativo di assenza dal lavoro, dovuto a due gravidanze successive, e al sovrapporsi dei relativi periodi di astensione dal lavoro, obbligatoria e facoltativa, pre e post partum. Allo spirare del termine del periodo di sospensione facoltativa relativa al primo figlio, la datrice di lavoro aveva invitato la dipendente a prendere contatto al fine di stabilire le modalità del suo rientro in servizio. Dopo la nascita del secondo figlio - a distanza di due anni dall’ultima prestazione lavorativa della dipendente - la società le comunicava il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova. La società convenuta – sia in sede di costituzione nel procedimento ex art. 700 c.p.c. (e con il reclamo) sia nel giudizio di merito – si era limitata prima a fare riferimento a presunti e non provati comportamenti non corretti tenuti dalla ricorrente nel corso del periodo di prova e poi aveva ripiegato, per cercare di dimostrare che il licenziamento non era occasionato dalle due gravidanze della lavoratrice, sulla contestualità tra il licenziamento della lavoratrice ed il trasferimento dell’azienda in altra sede. Il Giudice del cautelare, in accoglimento dell’istanza della lavoratrice, ne ordinava la reintegra. Tale provvedimento veniva confermato sia in sede di reclamo che nella successiva fase di merito. Con l’ordinanza di rigetto del reclamo del 11.6.2004 il Tribunale di Bologna aveva preso una posizione chiara, affermando che la condotta posta in essere dalla società, che non aveva provveduto a motivare congruamente il licenziamento, configurava violazione dell’art. 54 del T.U. – norma che, in quanto volta a garantire la lavoratrice in gravidanza da eventuali atti discriminatori, «consente il licenziamento in caso di esito negativo della prova ma solo qualora il datore di lavoro non sia a conoscenza della gravidanza». La norma, sancendo il principio generale per cui le lavoratrici «non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di garvidanza […] fino al compimento di un anno di età del bambino », nel fare salvo il caso in cui il licenziamento derivi dall’ «esito negativo della prova» aggiunge tuttavia che comunque « resta fermo il divieto di discriminazione di cui all’art. 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni ». Pertanto in caso di licenziamento per mancato superamento della prova da parte di un datore di lavoro a conoscenza dello stato di gravidanza, secondo il Collegio, deve essere motivato il giudizio negativo sull’esito della prova al fine di tutelare la lavoratrice da eventuali abusi. Invece nel decidere il merito lo stesso Tribunale, in veste di Giudice monocratico, non ribadisce la necessità di motivare il recesso. Con la sentenza in commento infatti il Giudice del lavoro, afferma che «se è vero che il licenziamento per esito negativo della prova attiene ad una valutazione discrezionale del datore di lavoro sul comportamento e sulle capacità professionali del lavoratore e che il merito di tale valutazione è sottratta al sindacato giudiziario, e se è altresì vero che il datore di lavoro non è tenuto a rendere espliciti nella lettera di licenziamento i motivi per cui ritiene che la prova abbia avuto esito negativo, è parimenti vero che il lavoratore può fornire dimostrazione dell’esito positivo della prova, anche sulla base di indizi, e quindi della non corrispondenza all’effettiva volontà del datore di lavoro della ragione addotta a sostegno del licenziamento ». Nel caso di specie comunque, alla luce delle circostanze emerse, il Giudice ha ritenuto provata la violazione dell’art. 54 d.lgs. 151/01 e, quindi, sussistente il diritto della lavoratrice alla prosecuzione del rapporto ed alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento «non tanto perché ciò sia previsto dall’art. 18 st. lav., quanto perché si tratta di conseguenza della ritenuta nullità di diritto comune del licenziamento »